sindrome della capanna

Seppur con mascherine, distanziamento sociale e misure di sicurezza, gli italiani stanno gradualmente riprendendo in mano le proprie vite. C’è chi è tornato in ufficio dopo settimane di smart working, chi ha voluto fare un brindisi per i compleanni trascorsi in pieno lockdown, chi è corso dal parrucchiere e chi ha rimesso piede in un centro commerciale per fare nuovamente acquisti “dal vivo”. Eppure, nonostante si inizi a respirare un po’ di normalità, qualcuno non riesce ancora a godersi questo momento. In questa fase, infatti, molte persone sperimentano il timore di uscire dalla propria abitazione, considerata finora il “rifugio” per eccellenza, e vengono assalite da ansia, angoscia, frustrazione. Questa condizione emotiva è definita “sindrome della capanna” e insorge in seguito a lunghi periodi di distacco dalla realtà, proprio come quello appena vissuto.

Cos’è la sindrome della capanna?

«La sindrome della capanna, conosciuta anche come sindrome del prigioniero, non è un disturbo psichiatrico ma una condizione che può presentarsi dopo aver trascorso molto tempo in isolamento sociale, all’interno delle mura domestiche» interviene la psicologa e psicoterapeuta sistemico-relazionale Simona Mreule, che conosce da vicino la tematica. Proprio durante il lockdown, infatti, la dottoressa ha preso parte a un progetto di educazione al benessere psico-fisico-nutrizionale, ideato e coordinato da Marta Ciani, biologa nutrizionista di Udine. L’iniziativa, attiva in Friuli Venezia Giulia, ha coinvolto un team di specialisti che, dallo sport al supporto psicologico fino all’alimentazione, ha offerto un pacchetto gratuito di consulenze a domicilio a tutti i cittadini che ne avevano bisogno.

Perché può insorgere?

«Purtroppo la chiusura imposta dal governo ha lasciato, in alcuni individui, qualche strascico a livello emotivo. Quello che è successo, e che nessuno aveva mai vissuto prima, ha creato incertezza e ha messo in discussione le vite di tutti, specialmente di chi è stato colpito da vicino dal virus. In casa, però, ci si è sentiti al sicuro, protetti, lontani dai rischi e dal contagio. Ecco perché oggi, per alcune persone, uscire da questo rifugio può rappresentare un pericolo, può spaventare e intimorire tanto da voler continuare a vivere secondo i principi del lockdown» continua Mreule. «Non si tratta di una resistenza al cambiamento in atto, come molti hanno addotto, ma un vero e proprio stato di ansia nei confronti di ciò che c’è fuori dalla porta di casa».

Come si manifesta la sindrome della capanna?

L’espressione “sindrome della capanna” sembra risalire addirittura all’Ottocento. Nel XIX secolo, infatti, negli Stati Uniti si sviluppò il fenomeno della corsa all’oro. I cercatori erano costretti a trascorrere lunghi periodi in capanne, in aree isolate e lontane dalle città popolose, proprio per portare a termine questa fruttuosa attività. Al ritorno alcune di queste persone manifestavano un rifiuto verso la civiltà, ansia, stress e suscettibilità. Da qui è stata coniata l’espressione di cui oggi si sente spesso parlare. «Questa condizione si manifesta con irritazione, nervosismo, demotivazione, difficoltà a prendere sonno. E ancora, c’è il desiderio di voler riprendere il contatto con la realtà esterna ma contemporaneamente si è assaliti da ansia, angoscia, attacchi di panico, timore» continua la psicologa.

Ci sono soggetti maggiormente a rischio?

Ci sono persone più a rischio o la sindrome della capanna potrebbe potenzialmente colpire chiunque? «Tutti possono tendenzialmente andare incontro a questa condizione emotiva» conferma Mreule. «Tuttavia coloro che si sono ammalati di Covid-19 o hanno vissuto da vicino questa esperienza, come ad esempio gli anziani e i loro familiari, possono essere particolarmente esposti al rischio di sviluppare un mix di sentimenti negativi relativi alla fase 2. Anche i genitori potrebbero manifestare ansia e paura perché, oltre a proteggere se stessi, devono pensare ai loro figli, piccoli o grandi che siano. E ciò può portare a uno stato di preoccupazione ulteriore. Infine, chi già prima del lockdown aveva delle difficoltà emotive o qualche disturbo psicologico, ora potrebbe sentirsi maggiormente angosciato e vessato».

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Come gestire e superare la sindrome della capanna?

Come spiega la dottoressa Mreule, esistono alcune semplici strategie da mettere in atto per poter gestire e superare questa condizione emotiva.

  • Ascoltarsi. Bisogna capire che queste sensazioni nascono in seguito a un lungo periodo di isolamento, che è stata una condizione del tutto nuova per chiunque. Nessuno, prima di allora, aveva mai sperimentato una situazione del genere. Quindi è del tutto normale che qualcuno ci metta un po’ più degli altri a “riprendersi” e a tornare alla normalità.
  • Cercare supporto nell’altro. Confidarsi con qualcuno che capisca ciò che si prova, senza giudicare, è un buon punto di partenza per abbattere il disagio interiore.
  • Prendersi cura di sé. Se il lockdown ha azzerato abitudini, vizi e piccoli rituali di piacere, ora si ha la possibilità di prendersi cura della propria persona. Bisogna soddisfare i bisogni personali nella quotidianità.
  • Stabilire degli obiettivi. È necessario imporsi degli obiettivi a breve-medio termine in modo da scandire le giornate, senza aver tempo per preoccupazioni, pensieri negativi, ansie. In questo senso bisogna cercare di reimpostare una routine giornaliera, che possa far tornare gradualmente alla normalità.

Chiara Caretoni

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