La paura di non farcela
Una consegna lavorativa imminente, un collega competitivo o semplicemente un ambiente lavorativo che ci mette tutti i giorni sotto esame. Queste situazioni possono facilmente tradursi nella paura di non farcela e in uno stato d’ansia che non lascia scampo. Nemmeno quando la sera si torna a casa e si vorrebbe chiudere il capitolo “lavoro”.
«L’ansia trova terreno fertile soprattutto in quelle persone che sono state educate e cresciute con una costante richiesta di obiettivi e risultati», spiega Luisa Merati, esperta in problemi psicosomatici, già componente del comitato tecnico scientifico della Regione Lombardia per la medicina complementare e componente del Direttivo SIMP Società Italiana Medicina Psicosomatica (puoi chiederle un consulto qui).
«Quando è funzionale, l’ansia ci mette in allerta dai pericoli reali e ci stimola ad adottare comportamenti corretti. È quando pensiamo di essere sempre sotto attacco e viviamo in una situazione psicologica di allarme, che l’ansia perde la sua funzionalità e può avere anche conseguenze a livello fisico» sottolinea l’esperta.
Può provocare problemi fisici
È risaputo che l’ansia, quando è eccessiva, può provocare problemi fisici: un recente studio condotto in Norvegia presso l’Università di Bergen e pubblicato sul British Medical Journal Open, ha confermato che chi soffre di attacchi di panico e ansia, causati soprattutto dall’ipocondria, ha un rischio maggiore di essere colpito da vere malattie cardiache, come attacchi di cuore (qui potete trovare gli esami consigliati se avete ansia e stress con sintomi fisici). Così come una ricerca delle università di Bochum e Basilea, pubblicata su Plos One, ha messo l’ansia in stretta relazione con lo sviluppo di malattie della pelle, soprattutto tra i giovani.
Tempo libero per staccare la spina
Staccare la spina e smettere di rimuginare continuamente su ciò che provoca ansia, non è sempre facile, ma nel tempo libero può essere utile rifugiarsi in determinate attività. «Bisogna ritagliarsi uno spazio e fare qualcosa che piace e che soprattutto non richieda di conseguire necessariamente un risultato» consiglia Merati.
Praticare il proprio hobby preferito (per esempio, contro lo stress è utile il giardinaggio), fare shopping, ascoltare musica (la cosiddetta music therapy, che innesca nel cervello la produzione di endorfine e migliora l’umore, oltre che fare bene al cuore), ma anche fare attività fisica, come lo yoga o la corsa. «Meglio evitare il running, che per definizione presuppone un traguardo da raggiungere, per dedicarsi al jogging, che al contrario è praticato per il puro piacere di correre e liberare la mente» precisa l’esperta.
Il recupero della consapevolezza
Se questi espedienti non bastano, esistono tecniche di rilassamento, come il training autogeno e l’autoipnosi, oppure una pratica di meditazione basata sul recupero della consapevolezza, cioè la mindfulness. «Nelle situazioni di ansia le persone sono portate a reagire in modo automatico e impulsivo perché sono condizionate. L’obiettivo della mindfulness è rompere questi automatismi e riportare l’individuo a essere consapevole di ciò che accade nel suo corpo e nella sua mente, così invece di reagire impulsivamente alla situazione, risponde e compie delle scelte in modo razionale» spiega Merati. «Andrebbe praticata quotidianamente con la guida di un professionista, che insegna a riprendere consapevolezza del corpo per mezzo del respiro, per ritrovare un equilibrio interno».
Imparare a respirare con il diaframma
La respirazione è un nodo fondamentale nella gestione dell’ansia: chi si trova in uno stato di stress respira con la parte alta del torace, velocemente e con poca profondità, mentre per introdurre più ossigeno nei polmoni e calmarsi bisognerebbe respirare con il diaframma (ecco come si fa). Il respiro, infatti, sta anche alla base delle tecniche di rilassamento. «Il training autogeno deriva dall’ipnosi e fa sì che i pazienti imparino a regolare il ritmo cardiaco, il respiro e la sensazione di pesantezza del corpo per ottenere uno stato generale di rilassamento, sia fisico che psichico, funzionale ad affrontare in modo diverso le situazioni che generano ansia» continua l’esperta.
Utile l’autoipnosi
Se il training autogeno richiede un lungo allenamento con l’affiancamento di un medico, l’autoipnosi è una tecnica più rapida da attuare. «Durante le sedute con lo psicoterapeuta, il paziente impara a riprodurre autonomamente uno stato di ipnosi a scopo rilassante con un segnale stabilito, che può essere per esempio un movimento della mano. Di conseguenza, l’ansia si abbassa e l’individuo gestisce la situazione in modo più tranquillo» conclude Merati. La psicoterapia ipnotica è molto efficace anche per la gestione del dolore cronico.
Quando l’ansia diventa patologica
Il confine tra lo stato lieve di ansia e lo stato patologico si supera quando l’allerta e la sensazione di pericolo non si spengono mai, perché libere da qualsiasi motivazione e non più legate a un problema. «C’è un’amplificazione peggiorativa della realtà e, da un punto di vista cognitivo, si manifesta mancanza di concentrazione, perdita di obiettività nella valutazione delle situazioni e una “visione tunnel” della realtà» spiega Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di psichiatria dell’ASST Fatebenefratelli-Sacco di Milano (puoi chiedergli un consulto qui).
Oltre alla componente cognitiva, però, il disturbo d’ansia ha anche una chiara manifestazione fisica. «Possono esserci palpitazioni, sudorazioni, sbandamenti, ma anche vampate di calore, la sensazione di un nodo alla gola, tremori e una condizione di “iper-arousal”, cioè irrequietezza e iperattività senza uno scopo preciso» specifica l’esperto. Il problema è molto serio perché nell’ansia patologica «il soggetto è incapace di mettere in atto strategie finalizzate a risolvere in qualche modo la situazione legata al pericolo o alla potenziale minaccia: il cosiddetto “problem solving”, insomma, viene a mancare», spiega Mencacci.
Il disturbo d’ansia
Tra i disturbi mentali, quello d’ansia è il più frequente e secondo i risultati emersi dall’European Study on the Epidemiology of Mental Disorder promosso in Italia dall’Istituto Superiore di Sanità nel 2013, a essere più colpite sono le donne (hanno un rischio triplo rispetto agli uomini), seguite dai giovani, i non sposati, i disoccupati, le casalinghe e da chi vive in città.
«L’incidenza è maggiore nel genere femminile per diverse motivazioni, ma la più significativa è collegata ai cicli ormonali a cui la donna è esposta. Poi nelle donne c’è un livello più basso di tolleranza ai corticosteroidi, cioè alle condizioni di stress, e infine le mogli, le mamme e le lavoratrici sono solitamente un concentrato di funzioni relazionali, affettive e di accudimento che possono generare un peso, e quindi un’ansia eccessiva» spiega Mencacci.
Le cure farmacologiche
Anche l’ansia patologica può essere aiutata da terapie come il training autogeno o l’ipnosi, ma queste sono sempre accompagnate da cure farmacologiche. «Per i disturbi di ansia cronici vengono prescritti gli antidepressivi, mentre nelle forme acute si inizia con le benzodiazepine, cioè gli ansiolitici. Le modalità e le quantità di assunzione dipendono da molte variabili, come l’intensità dei sintomi, le caratteristiche di genere e familiarità e dalle condizioni fisiche del paziente, che magari è affetto anche da altre patologie, come diabete o problemi cardiaci» conclude Mencacci.
Giulia Masoero Regis
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