La timidezza, quella vera, va oltre il rossore delle guance e può trasformarsi, in alcuni casi, in vera e propria patologia. Eppure è un sentimento, proprio come la gioia, e se si impara a riconoscerla ha più lati positivi di quanto si possa pensare.
Giuseppe Valerio Mavilia, psicologo-psicoterapeuta, neuropsicologo, pedagogista (puoi chiedergli un consulto), ci spiega che cos’è la timidezza e come si può trasformare da nemica ad alleata.? Il prof. Mavilia Specializzato in Psicologia Clinica, è cultore ed esperto in materia di Igiene Mentale e Pedagogia Speciale presso l’Università degli Studi di Torino, inoltre è Docente Master DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) presso la Facoltà di Scienze della Formazione di Torino. ?

Ansia, senso di inadeguatezza, timore di venire giudicati. La timidezza può impedire i rapporti sociali ed essere un freno sul lavoro. Di che cosa si tratta?

La timidezza è un sentimento che può coinvolgere il carattere di un individuo o la sua personalità. Questa distinzione è fondamentale in quanto finché la timidezza non invade gli spazi più profondi del soggetto al punto da impedirne il contatto con l’altro, rimane a livello superiore come un sentimento. Se invece è tale da impedire il vivere quotidiano, portando la persona a estraniarsi, questa diventa un disagio che può degenerare in patologia.
Facciamo un esempio: se una persona si trova a una festa e trascorre il suo tempo contro il muro, parliamo di un sentimento di timidezza; se il soggetto invece alla festa non vi si reca, ci troviamo a parlare di un disagio che colpisce così profondamente da impedire l’affrontare la quotidianità e i suoi accadimenti in modo ordinario.

Come si manifesta?

Ci sono due tipi di sintomi: i primi sono detti anticipatori perché si manifestano prima dell’evento al quale dovrebbe partecipare il soggetto. In questo caso il pensiero di dover affrontare una determinata situazione scatena una serie di risposte sintomatiche quali ad esempio fiato corto, sudorazione, disturbi del sonno e ansia diffusa.
Il secondo tipo di sintomi invece si manifesta nel momento stesso in cui si vive una determinata situazione percependo la propria inadeguatezza. Anche in questo caso si possono avere manifestazioni simili a quelle anticipatorie, che però sfociano in comportamenti più gravi come il rifiuto o la fuga. Il soggetto è in preda al panico e ha pensieri di evasione o fuga.

La timidezza coinvolge di più gli uomini o le donne? E come vivono questo sentimento gli adolescenti?

Tra uomini e donne non c’è distinzione, la timidezza è un sentimento comune a entrambi i sessi. Va comunque sottolineato che se rimane nei termini di sentimento può avere una certa valenza positiva perché porta le persone ad essere maggiormente riflessive, a osservare e contemplare. Le persone timide sono meno istintive e questo può essere talvolta un vantaggio. Se il soggetto timido riesce a trasformare la timidezza in un’alleata avrà una capacità di giudizio più completa, meno istintiva.
La timidezza è una fase tipica dell’adolescenza, se rimane a livello di sentimento è assolutamente normale, ma se il senso di chiusura impedisce i rapporti sociali questa diventa un disagio e talvolta una espressione psico patologica. Considerando che l’adolescenza è una riedizione delle dinamiche infantili è probabile che, se il soggetto da bambino era timido, lo sarà anche nella fase adolescenziale.

La timidezza si può superare? E come?

Diventando consapevoli, e identificando i motivi che l’hanno generato, questo sentimento può essere superato comprendendo che cosa è e quale è il significato della nostra timidezza nelle relazioni, nelle situazioni e in ogni momento dell’esistenza. L’importante è darle un nome, accettarla come si accettano le altre emozioni come ad esempio la gioia o la tristezza.
Sono utili le terapie brevi decondizionanti o le terapie di gruppo in quanto il confronto con gli altri aiuta a ridimensionare il disagio. Sicuramente percorsi di psicoterapia individuale danno la possibilità di un approfondimento maggiore. Negli adolescenti, al di là della necessità di terapia, può essere utile fare sport di socializzazione e di confronto come la pallavolo, il nuoto e la danza, discipline che facilitino la partecipazione senza dover interagire forzatamente.

Ci sono delle terapie sostitutive e alternative a quelle tradizionali?

Lo sport, senz’altro, inizialmente quello collettivo ma non di squadra, perché passando attraverso il proprio corpo si prende consapevolezza di sé e si acquista maggior sicurezza. Soltanto in una seconda fase si potrà passare a sport più “sociali” e di contatto.
È molto utile anche partecipare a situazioni come conferenze o dibattiti, in cui ci si abitua a stare in mezzo alla gente senza esporsi. Con i bambini una terapia può essere la pet therapy in quanto l’animale crea empatia e comunicazione attraverso le emozioni e poi con le parole.

Eliana Canova

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