perfezionista

La perfezione non è una qualità destinata al genere umano, ma destinata al mondo degli dei. Eppure, esistono persone che credono di poter salire sul famigerato Olimpo. Roberto Pani, professore di psicologia clinica all’Università di Bologna (puoi chiedergli un consulto qui) ci parla dei perfezionisti, ovvero di coloro che hanno l’abitudine di pretendere da sé stessi, o dagli altri, performance superiori, che vanno oltre a quelle richieste dal contesto.

I due tipi di perfezionisti

A tal proposito, si può distinguere tra perfezionisti che soffrono di un disturbo narcisistico della personalità e coloro che invece presentano un disturbo ossessivo perfezionistico. In entrambe le distinzioni, i perfezionisti non riescono a godere dei risultati raggiunti, seppure di alto livello, perché è possibile fare ancora meglio.
Ignorano la precarietà del mondo circostante perché al centro esistono solo loro: ma l’uomo è, per sua natura, fallimentare e non è capace di controllare il contesto. Sono sempre insoddisfatti e, nei peggiori dei casi, hanno un comportamento irascibile e scontroso perché frustati dalle difficoltà che trovano nel loro «ego-cammino».

Disturbo narcisistico della personalità

Le persone che soffrono di disturbo narcisistico della personalità esprimono un continuo bisogno di visibilità e, per perseguire tale fine, hanno necessità di sentirsi, ed essere, sempre i migliori. Solitamente sono persone famose, eccellenze nei loro campi, che hanno già assaporato il sapore del successo e del quale non possono più farne a meno.

La ragione è perché vivono la loro identità sulla base di un continuo riconoscimento popolare, pertanto sarebbe più giusto indicare questo atteggiamento come un disturbo del self-ego, cioè dell’idea che hanno di loro stessi. Il narciso ha un’alta considerazione di se stesso e, pertanto, non ammette che ci sia nessuno più bravo e quindi più visibile.

Disturbo ossessivo perfezionistico

Coloro i quali mostrano, invece, un disturbo ossessivo perfezionistico sono persone estremamente precise e meticolose, che concentrano tutte le loro energie su un obbiettivo in modo tale da garantirsi il successo assicurato. Così presentato, non sembra essere un atteggiamento negativo, anzi: lavorare duro per fare sempre meglio.

Il problema è che questo modo di agire e di concepire la realtà, viene estremizzato al punto tale da non ammettere nessun margine di errore. L’imperfezione non è contemplata né da loro stessi né dagli altri. I perfezionisti mirano a standard, il più delle volte, molto più alti delle loro capacità. La necessità di voler essere continuamente i più bravi, come nel caso di Gregorio Paltrinieri (leggi qui come racconta il suo essere perfezionista), poggia su successi già raggiunti ma che non bastano per appagare la loro «fame».

Che cosa fare

Per il perfezionista, in primo luogo, può essere utile ascoltare l’opinione delle persone care, avvalendosi di un punto di vista terzo più obbiettivo e, al tempo stesso, genuino. Inoltre, può essere d’aiuto accettare come eccellenti i risultati riconosciuti come tali dalla maggioranza delle persone. Esempio: tutti sono d’accordo che un 30 a un esame è un ottimo voto. Rifiutarlo sarebbe, appunto, espressione di un perfezionismo eccessivo.

Senso di responsabilità

Esistono, però, anche aspetti positivi del perfezionismo: l’insoddisfazione costante verso gli obbiettivi raggiunti è il carburante che permette di lavorare sodo, escludendo la possibilità di addossare a terzi eventuali risultati negativi. Nel caso degli sportivi professionisti, poi, la mania del perfezionismo è più sinonimo di ambizione che di disagio, quindi una qualità piuttosto che un difetto, che permette agli atleti di raggiungere certi risultati.

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