Risposte a monosillabi, chiusura, ribellione. Il muro del silenzio è caratteristico della crisi adolescenziale e non è facile da gestire quando si è genitori. Che cosa fare? Abbiamo chiesto consiglio a Marco Barra, psicologo, psicoterapeuta, lavora da anni con adulti e adolescenti negli studi di Torino e Cuneo. Cultore della materia presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli studi di Torino. Ricercatore locale Yepp Monviso. Ha pubblicato per Carthusia edizioni “Oggi sono felice ma anche un po’ triste. Imparare il linguaggio delle emozioni”.

Partiamo dalla comunicazione tra genitori e figli…

Instaurare una buona comunicazione con il proprio figlio è fondamentale ed è importante farlo fin dalla nascita. Questa comunicazione emozionale deve durare per tutto l’arco della vita. Il genitore deve saper dare un nome alle emozioni e non deve farsi sopraffare o spaventare da quelle negative perché così facendo trasmetterà ciò che prova al bambino, infondendogli la sicurezza necessaria per affrontare le difficoltà della vita. Nel caso di un lutto, ad esempio, nasconderlo per proteggere il bambino dalla sofferenza non è la strada giusta, perché prima o poi quello che è stato mantenuto segreto viene fuori. Meglio invece dire al bambino che cosa è successo, spiegarlo nel suo linguaggio, facendosi vedere calmi e tranquilli seppure tristi per la perdita: il messaggio che così passa è che dalla sofferenza, anche quella più profonda, si può uscire.

La crisi adolescenziale e il muro del silenzio.

Se si sono poste le basi di una buona comunicazione, affrontare la crisi adolescenziale dei propri figli può risultare più facile e gestibile. In questa età i ragazzi vivono le emozioni con forte intensità, hanno atteggiamenti oppositivi e di ribellione alle norme degli adulti e soprattutto dei genitori. Stanno costruendo la propria identità. Si sentono parte di un gruppo, di una squadra, che è quella dei loro coetanei e la squadra rivale è rappresentata dagli adulti e dai genitori: non si parla e non si tratta con la squadra rivale. Il genitore con le sue regole è il nemico.
In tutto questo si inserisce la difficoltà di comunicazione che spesso sfocia nel muro del silenzio: risposte stringate, nessuna voglia di condividere le proprie emozioni e il proprio vissuto con i genitori.

Quale atteggiamento devono adottare i genitori?

Prima di tutto non si devono far spaventare da questo atteggiamento di chiusura che è assolutamente normale in questa fase del ciclo di vita. I genitori devono ricordarsi di quando anche loro erano adolescenti e hanno affrontato con ribellione questo periodo.
Devono cercare di capire come sta il ragazzo in quel momento e spiegare regole e divieti. Sì e no non bastano, non sono risposte sufficienti, bisogna sempre mediare, spiegare e scendere a compromessi. Un esempio classico: il ragazzo o la ragazza chiedono di andare a una festa e di fermarsi a dormire da un amico/a. Dire «no» senza motivarlo, magari dopo ripetute richieste, è sbagliato. Il ragazzo/a potrebbe non chiederlo più e chiudersi alzando un muro si silenzio. In questo caso è fondamentale ascoltare perché per il ragazzo è così importante fermarsi a dormire, e poi spiegare i motivi del divieto. Meglio ancora negoziare, non essere rigidi: non ti fermi a dormire ma puoi fare un po’ più tardi del solito.

Quali errori vanno evitati?

Spesso l’adolescente decide di non parlare perché dall’altra parte i genitori non sono capaci di ascoltare e danno contro a qualsiasi richiesta. Per il ragazzo è già difficile chiedere o aprirsi, se quando lo fa gli viene negata qualsiasi richiesta, smetterà di chiedere e di comunicare. Questo non significa che si deve dire sempre di sì ed essere troppo permissivi o accomodanti, ma la rigidità porta alla chiusura dell’altro. Il genitore non deve mettersi al livello del figlio, o lasciarsi sopraffare dalle emozioni, ma deve lasciare stemperare la rabbia, capire che è una fase della vita necessaria, non smettere mai di cercare il confronto, il dialogo. Se il proprio figlio quando gli si chiede come è andata a scuola risponde «Bene» quando fino a poco tempo prima raccontava ogni particolare, non è così grave, è una fase e passerà. Il genitore può avere dei tratti da amico, ma deve essere genitore e non un compagno di merende o un coetaneo.

Quando la situazione è grave e ci si deve rivolgere a uno specialista?

La situazione diventa grave quando non c’è più alcun tipo di comunicazione, quando i segnali di disagio e di chiusura hanno ricadute in altri ambiti, quando ci sono forti cambiamenti negativi in diverse sfere della vita del ragazzo. Ad esempio se si hanno problemi alimentari, se si abbandona una passione sportiva, se si viene bocciati quando fino a poco tempo prima si andava bene a scuola. Se ci si isola dal solito gruppo di amici. In questo caso è utile l’intervento di uno specialista, psicologo e psicoterapeuta, che medi e aiuti a uscire dall’isolamento coinvolgendo non soltanto il ragazzo, ma anche i genitori.

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05/08/2015