Perché certe persone si lamentano sempre?

Giovani, anziani, poveri o ricchi, i lamentosi si trovano un po’ ovunque, in famiglia ma anche sul posto di lavoro. Da che cosa è causata la lamentela? E soprattutto: qual è l’atteggiamento giusto che deve adottare chi la sta ad ascoltare? Ecco i chiarimenti e i consigli di Monica Chiovini, psicologa, criminologa e consulente forense. Professore all’Università Internazionale di Scienze della Sicurezza e della Difesa Sociale e psicologa forense all’Istituto di Scienze Forensi di Milano-Corsico (puoi chiederle un consulto qui).

 Perché certe persone si lamentano sempre?

In ambito psicologico le persone che si lamentano possono essere riunite sotto la categoria “rimuginio”, ovvero la tendenza a rimuginare. Il rimuginio è un pensiero negativo ricorrente, il soggetto che lo prova si chiude in questo stato d’animo e vede soltanto aspetti e momenti negativi nella propria vita, dall’area affettiva, a quella lavorativa, sociale e di salute.

Il rimuginio è un sintomo, un aspetto di personalità e di comportamento che può avere tra le cause soprattutto i disturbi d’ansia e la depressione, ma anche i disturbi ossessivi e alimentari. Alla base c’è uno stato d’insoddisfazione e d’insicurezza nella propria vita. In questa condizione il soggetto vive un fallimento, non vede alcun aspetto positivo e così continua a lamentarsi. Può anche esserci un sentimento di gelosia o invidia verso persone vicine, come ad esempio i colleghi di lavoro, che sono percepite come maggiormente realizzate rispetto a se stesso.

Altre cause possono essere psicopatologie che sfociano in questo comportamento e pensiero bizzarro e irrazionale che non corrisponde ai fatti reali. Una terza causa che spinge a lamentarsi continuamente è portata dalla ricerca di attenzione. Questo è tipico degli adolescenti e anche degli anziani.

È anche una questione di carattere?

Il fatto di lamentarsi e rimuginare di solito è un tratto di personalità, una condizione che si ha interiorizzato. Questo si nota ad esempio negli anziani che vivono una condizione di passività e depressione: al di là dei problemi di salute, sono gli stessi che da giovani non erano così tanto attivi. Al contrario le persone che hanno sempre avuto un buon carattere e forza d’animo, anche in età avanzata dimostrano la medesima forza cercando di andare avanti e di restare autonomi.

Può però capitare di vivere anche solo un periodo, una fase della vita conseguente ad esempio a delle malattie o a uno stato di esaurimento. È normale che i primi anni la persona abbia paura di rivivere quei momenti dolorosi e quindi si lamenta o vede le cose in maniera negativa. Di fondo la persona lamentosa ha una bassa autostima, insicurezza e senso di incapacità e di sfiducia nelle proprie capacità.

Quali sono le conseguenze della lamentela costante?

Sicuramente un grande dispendio di energia fisica e psichica, perché il soggetto passa la sua giornata a lamentarsi. Non va mai bene niente, ad esempio al ristorante vede sempre qualcosa di negativo: il cibo non è buono, il cameriere è maleducato, la musica è troppo alta. Il lamentoso non si ferma ad apprezzare le più piccole cose belle della vita. Entra in un circolo vizioso, rimane bloccato in questa visione negativa e innesca quella che in psicologia si chiama “profezia che si autodetermina”.

Un esempio concreto è rappresentato da uno studente che deve dare un esame all’università, e parte con l’idea che non ce la farà mai a superarlo perché l’esame è difficile, il professore pretende e altri pensieri negativi. In questo modo mette in atto automaticamente dei meccanismi comportamentali e mentali e delle azioni che sicuramente porteranno a un esito negativo con la conseguenza che molto probabilmente quell’esame non lo supererà. Questa è una profezia che si autodetermina.

Se partiamo con una visione negativa e pessimistica di un fatto, di un’azione o di una realtà, molto probabilmente si avvererà il risultato negativo. Se invece lo studente pensa che l’esame è difficile, ma vuole pianificare lo studio per superarlo e fare bella figura, allora si impegnerà molto di più e automaticamente metterà in atto dei comportamenti positivi superandolo.

Un’altra conseguenza è rappresentata dalle ripercussioni sulle relazioni con gli altri, famigliari, amici e colleghi. È difficile stare accanto a una persona che si lamenta continuamente tutte le volte che la vediamo, o usciamo insieme, o sul posto di lavoro. Le reazioni degli altri sono la fuga, l’allontanamento e l’isolamento. Alla fine il lamentoso rimane solo con i suoi sentimenti di rabbia e di preoccupazione costante, che sono tipici dell’ansia.

Qual è l’atteggiamento giusto da adottare verso chi si lamenta?

L’atteggiamento sbagliato è il più ricorrente: fare una battuta, sdrammatizzare, sollecitare la persona a uscire di casa, o ad andare a lavorare o a imparare a godersi la vita. In realtà si ottiene l’effetto opposto e il soggetto si sente aggredito, incompreso, non aiutato e soprattutto giudicato.

L’atteggiamento migliore è di mettersi nei panni di chi si lamenta, cercare di capirlo in maniera empatica. Ci si dovrebbe domandare: perché è così? Che cosa gli è successo? Il passo successivo è aiutarlo ed essere presente, stando bene attenti però a non lasciarsi invischiare in questo circolo vizioso, non diventarne schiavi. Il lamentoso si pone in una condizione di vittima, ma alla fine lui è il carnefice. Spesso sacrifichiamo tutta la nostra esistenza ai figli, o al marito per vivere non la nostra vita, ma quella dell’altra persona che sta male.

La relazione corretta è quella assertiva: aiutarlo, essere presenti e disponibili, proporre una visione della vita diversa e più positiva. Quando una banale influenza si trasforma in tragedia, ricordare che esistono persone che soffrono di malattie ben più gravi. Il distacco va sempre mantenuto, così come polso e autorità, proprio per non trasformarsi in vittime.

Quando ci si deve far aiutare?

Quando questa visione pessimistica diventa forte e insita tanto da invalidare tutte le aree della propria vita, allora sarebbe consigliabile chiedere aiuto a uno psicologo. Si potrebbe intraprendere un percorso di sostegno psicologico o una psicoterapia anche breve, molto utili a migliorare l’immagine di sé e per accrescere l’autostima e la fiducia nelle proprie capacità. Uno degli obiettivi è di passare da uno stato di passività e di apatia all’azione, per far capire che la vita, e gli eventi, si possono cambiare.

Questo dà il coraggio di reagire. Una caratteristica tipica delle persone che si lamentano sempre è di possedere “il punto di controllo esterno”, come viene chiamato in psicologia. In pratica sono convinti che tutto ciò che accade nella propria vita non dipenda da loro, ma da forze esterne come il destino, la vita e anche Dio. Così facendo non si prendono la responsabilità delle proprie azioni. La terapia aiuta a passare a un punto di controllo interno: la vita è difficile, però devo agire e posso cambiare le cose.

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