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Focus a cura di Maurizio Brasini, docente a contratto
di psicoterapia individuale e teoria
del cambiamento all’Università degli Studi dell’Aquila (puoi chiedergli un consulto qui)

I padri italiani sono i più vecchi in Europa: 35 anni la media 
per il primo figlio, con gli over 50 in continuo aumento. Questo accade perché, mentre la fertilità femminile ha un limite cronologico, gli uomini possono procreare fino a età avanzate; pertanto maschi e femmine hanno un senso differente
del tempo e delle proprie opportunità riproduttive. Anche dal punto di vista culturale siamo più abituati ai padri «anziani»: 
in passato, la figura del padre era concepita come meno presente nell’accudimento e meno coinvolta affettivamente 
nella relazione con i figli.
 Ora invece i padri sono più partecipi della vita familiare.

IL SUCCESSO PROFESSIONALE. Ritengo che l’osservazione di Carlo Conti (puoi leggere qui la sua testimonianza) sulla maggiore maturità e consapevolezza del fare il padre si riferisca alla fase del ciclo 
di vita che sta attraversando, piuttosto che all’età anagrafica. In questo senso, la maturità che dice di aver raggiunto riguarda la conquista dell’autonomia, 
la formazione di un legame di coppia stabile e soddisfacente, il raggiungimento di obiettivi personali e professionali, 
il superamento di ostacoli 
e difficoltà incontrati nel cammino di vita. D’altra parte, la percezione del grado di maturità raggiunto, ovvero quali siano 
i parametri in base ai quali
 ci sentiamo maturi e pronti per avere un figlio, è in gran parte soggettiva. Il successo professionale può contribuire 
a questo senso di sicurezza.

«MAMMI» A TEMPO PIENO. Proprio perché hanno dalla loro parte la serenità e il vantaggio di non doversi occupare della carriera, i padri tardivi sono più proiettati verso la dimensione esclusiva di genitore e non rischiano di caricare sui figli le ansie della propria realizzazione personale. È probabile
che tenderanno a investire molto nel rapporto con i figli.
 I padri con più esperienza,
 poi, presumibilmente non ripeteranno gli errori commessi con figli precedenti, per esempio quello di essere sempre assenti, anche quando sono dentro casa. Sono 
più aperti e disponibili ad apprezzare e valorizzare ogni momento trascorso in famiglia.

IMPARARE IL MESTIERE. Per quanto riguarda l’assenza di un modello di riferimento paterno, la perdita precoce di un genitore come è accaduto a Conti 
può segnare l’esistenza 
in tutte le sue fasi e la ferita può ricominciare a sanguinare nel momento in cui diventiamo
 a nostra volta genitori. Questo tuttavia non deve indurre a pensare che il proprio destino 
di genitori sarà segnato. Fin dalla culla e per tutto il corso della vita, siamo in grado di nutrirci 
di relazioni «riparatrici». 
In particolare, nei primi due anni è sufficiente che ci sia, tra le figure adulte di riferimento, almeno una che sia capace 
di prendersi cura di noi e farci sentire amati e protetti,
 per trasmetterci una sorta
 di fiducia di base nei rapporti interpersonali. Questa creerà 
un terreno favorevole per godere di relazioni appaganti 
in famiglia, nelle amicizie, al lavoro, nello sport, in coppia e contribuirà a formare il bagaglio necessario per affrontare 
la paternità o la maternità.

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