Fare shopping piace a tutti, su questo non ci sono dubbi. Ad alcuni, però, piace così tanto da non poterne fare a meno, perché in realtà comprare impulsivamente nasconde un disturbo grave che non si riesce a controllare. Il professor Paolo Cavedini spiega le dinamiche dello shopping compulsivo, che è da considerarsi una patologia. Psichiatra e dottore di ricerca, è responsabile dello IEDOC, l’Istituto Di Eccellenza per i Disturbi Ossessivo Compulsivi a Villa San Benedetto in provincia di Como.

In che cosa si differenzia lo shopping compulsivo da un normale desiderio o bisogno di fare acquisti?

Esiste tutta una serie di dipendenze comportamentali che non sono relative a una sostanza, come ad esempio l’alcolismo, ma ad oggetti o azioni. Sono dipendenze che derivano da comportamenti leciti o socialmente accettabili, ma che per alcune persone diventano meccanismi patologici. Utilizzare internet, fare sport, lavorare, giocare d’azzardo sono tutte attività “normali” che però possono costituire disturbi se assumono caratteristiche di dipendenza comportamentale. Lo shopping compulsivo rientra in questa categoria di patologie ed è legato a un impulso incontrollabile di acquistare anche oggetti inutili o superflui di cui non si ha effettivo bisogno. Ciò che conta per chi soffre di questo disturbo è il gesto in sé dell’acquisto. Spesso gli oggetti comprati, come ad esempio i vestiti, rimangono nell’armadio con l’etichetta attaccata: non sono mai stati indossati.

Come si comporta chi è affetto da questo disturbo?

Lo shopping compulsivo fa parte dello spettro dei disturbi ossessivo-compulsivi. Può avere una duplice componente: la parte compulsiva, che subentra per abbassare l’ansia correlata al pensiero assillante dell’acquisto, e la parte dell’impulsività. Quest’ultima genera un’azione che è sotto un impulso su cui non si ha alcun controllo. Le decisioni sono istintive, irrazionali, il bisogno di acquistare è irrefrenabile, ogni occasione è buona per spendere. Bloccare questo impulso è talvolta molto difficile.
Nel momento in cui si acquista, e per un po’ di tempo successivo, si prova benessere, rilassamento, ma questa sensazione di calma apparente svanisce rapidamente e il meccanismo riparte subito. In una fase successiva subentrano anche i sensi di colpa, e via via l’autostima si abbassa.

Lo shopping online aggrava il problema?

Lo shopping online è pericoloso per chi soffre di questo disturbo perché abbassa le inibizioni e le remore, anche il pagamento diventa un gioco virtuale. Facilita le cose. Acquistando in maniera tradizionale, invece, si innesca il famoso meccanismo del “contare fino a dieci” che permette di fare delle valutazioni razionali e riflettere. Prima di uscire di casa, di raggiungere il negozio, di acquistare e pagare si ha il tempo di attivare i freni inibitori, mentre on line è tutto rapido, immediato.
La società moderna ha creato uno spazio contestualizzato, ma questo tipo di patologie esistevano già in passato, soltanto che si realizzavano in altre aree. Il meccanismo era lo stesso, anche senza internet e tecnologia e centri commerciali.

Come si quantifica la gravità del disturbo?

Non si quantifica sulla base dei soldi spesi, ma è una valutazione qualitativa: lo faccio per gestire un pensiero e non perché ho bisogno di quell’oggetto, lo faccio per placare l’ansia interna. Anche il modo in cui il disturbo si insinua nella vita di tutti i giorni è importante, il pensiero fisso è di impedimento sul lavoro, nelle relazioni sociali e famigliari. È una fissazione senza razionalità che spinge ad acquistare senza pensare all’effettiva disponibilità economica. Ciò che ne consegue non è soddisfazione o piacere ma un senso di colpa e frustrazione a causa del mio comportamento fallimentare.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la parte patologica non è appannaggio delle donne, ma di entrambi i sessi. La differenza subentra nel tipo di oggetti acquistati: gli uomini si focalizzano principalmente sugli oggetti legati allo status sociale come i telefonini, gli orologi, l’elettronica. Le donne sono più interessate all’immagine personale, dunque prediligono prodotti di bellezza e abbigliamento.

Qual è l’approccio terapeutico più indicato per questo genere di disturbo?

Come per i disturbi ossessivo-compulsivi, si utilizza la psicoterapia cognitivo-comportamentale abbinata alla terapia farmacologica. È comunque fondamentale capire che ogni intervento deve tener conto dei fattori ambientali e individuali correlati a questo disturbo. Ci sono variabili di ordine sociologico e ambientale, oltre al contesto famigliare, che aggravano il problema. Qualsiasi tipo di intervento deve avere una visione completa del contesto in cui si manifesta la patologia.

18/11/2014

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