Anoressia la colpa è del padre

I cattivi rapporti fra padri e figlie possono far scattare nelle ragazze problemi con l’immagine del proprio corpo e anche disturbi alimentari come l’anoressia. E’ quanto emerge da una ricerca australiana della Charles Sturt University presentata ad agosto all’International Mental Health Conference. Ma è davvero così? Ne parliamo con Stefano Erzegovesi, nutrizionista e psichiatra responsabile Centro Disturbi del Comportamento Alimentare dell’Ospedale San Raffaele di Milano.

Un tempo si diceva che era colpa della madre, poi si è capito che l’anoressia è molto più complessa e ora si punta il dito contro il padre: professor Erzegovesi, ci aiuta a capire? Sono i genitori i “colpevoli”?

Negli ultimi giorni molti pazienti e familiari mi hanno chiesto pareri su questa notizia. Personalmente sottolineo sempre quanto sia importante prima di tutto eliminare la parola “colpa”: non si può dare la colpa a qualcuno perché i disordini alimentari non hanno mai un’unica causa, ma sono disturbi cosiddetti multifattoriali. Stabilire che è colpa del papà o della mamma, da un punto di vista scientifico è dunque una visione scorretta del problema. Inoltre stabilire chi è colpevole e chi è innocente è quanto mai controproducente perché rende molto difficile la collaborazione con la famiglia della paziente durante la terapia.

Quali sono allora i fattori coinvolti dello sviluppo dell’anoressia e di altri disturbi alimentari?

Farò l’esempio che utilizzo quando faccio lezione e parlo di anoressia. Proietto l’immagine di una cipolla tagliata a metà: è fatta a strati e in questo modo si vede che all’interno è piena di cerchi concentrici e sottolineo che le cause dei disordini alimentari sono tutti quei cerchi concentrici: dal più piccolo dentro di noi, che può essere il nostro DNA, poi il cerchio successivo che può essere il nostro temperamento, il carattere; ma consideriamo anche la vita intrauterina, le abitudini alimentari familiari, le relazioni sociali, fino ad arrivare ai cerchi più esterni, quindi alle relazioni con i coetanei, la pressione sociale verso la magrezza, la pressione commerciale a mangiare cibi-spazzatura, per poi passare ai dettami della moda, alla televisione… ecco, se noi osserviamo l’immagine della cipolla tagliata a metà e i suoi cerchi, capiamo come ognuno di questi fattori possa contribuire – anche se in maniera differente – all’esordio di disturbi alimentari che non sono mai dovuti ad uno solo di questi fattori.

Lei ha detto che la famiglia viene coinvolta nel percorso terapeutico della giovane anoressica: qual è il suo ruolo?

La famiglia deve essere coinvolta come risorsa, e a questo proposito è necessario fare una specifica sullo studio appena pubblicato: generalmente i padri nella terapia dei disturbi alimentari tendono a rimanere un po’ defilati. Quindi quando si convocano i familiari durante la terapia, soprattutto nel caso di una giovane anoressica di meno di 18 anni, normalmente si cerca di coinvolgere in maniera molto più diretta il padre. E si cerca, cosa per me molto importante, che la comunicazione tra padre e madre venga rinforzata in maniera diretta: nel momento in cui la madre e il padre comunicano sulla salute della loro figlia tra di loro, non ci devono essere segreti. E invece purtroppo capita molto spesso che si instaurino delle dinamiche che non aiutano la terapia, perché la paziente spesso dice «questa cosa la dico solo a te mamma, non dirla a papà» o il contrario «la dico a te papà ma non dirlo alla mamma». Si finisce così per utilizzare la cosiddetta “comunicazione triangolare”, che è uno dei peggiori ostacoli a una terapia efficace.

I casi di anoressia sono in aumento?

I casi gravi di anoressia sono numericamente abbastanza stabili. Sono molto in aumento i casi parziali, cioè delle forme un po’ meno gravi ma che hanno comunque bisogno di un consulto da parte del medico specialistico perché hanno degli effetti fisici importanti. Sono anche in aumento le cosiddette forme miste: situazioni in cui la paziente segue una dieta rigida, e poi si abbuffa, e non ha delle abitudini alimentari sane. E vorrei sottolineare come in questi casi risulta fondamentale l’educazione alimentare. Un dato scientifico sicuro è che all’interno delle famiglie di un soggetto che soffre di disturbi alimentari, non c’è regolarità nei pasti: ogni componente mangia quando vuole, quando si mangia non si comunica ma si tiene la televisione accesa, non c’è qualcuno che decide cosa si mangia, quindi manca una guida, ed è proprio questa disorganizzazione delle abitudini alimentari a rendere i soggetti più fragili sia per l’anoressia, sia per la bulimia e per tutti i disturbi alimentari.

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02/09/2015